Negli ultimi anni e, maggiormente al tempo del corona virus, sembrerebbe essere stata riscontrata una patologia caratterizzata dal condizionamento psicologico che induce molte persone ad opporsi, soltanto a parole, fermamente ad azioni che vengono richieste mentre, nei fatti, ad acconsentire a decisioni altrui anche senza riscontro alcuno. Si tratterebbe di una sorta di patologia sociale, che vede da un lato l’utilizzo del NO come forma di rivendicazione delle proprie libertà individuali e dall’altro il “naturale” gesto di acconsentire alle decisioni altrui.
Enrico Donaggio, nel saggio “Direi di NO”, descrive questo sentimento e propone la costruzione di uno “strumentario critico” per realizzare una base di conoscenza al fine di opporsi criticamente e costruttivamente alle imposizioni di quelli che, a torto, sono definiti “ladri di avvenire”; un invito, dunque, a sviluppare senso critico e a non concepire il NO come rifiuto o opposizione, ma come un’opportunità per distanziarci, attraverso una pratica di soggettivazione, dalle idee tossiche e fuorvianti.
In UIL, crediamo che lo “strumentario critico” sia il modo più efficace per leggere la quotidianità del nostro Istituto, lo stato dell’arte delle relazioni sindacali ed i rapporti fra le diverse realtà sindacali.
A fronte di attacchi quotidiani avremmo potuto scegliere il metodo classico del contraddittorio ma preferiamo indurre nei colleghi un momento di riflessione motivati dall’opportunità di fornire, al tempo del “distanziamento sociale”, una diversa forma di condivisione delle problematiche del nostro Istituto.
Eravamo e siamo conviti che la sicurezza sul lavoro sia la vera priorità nazionale e per questo la UIL ha detto NO senza subordinazione alle pressioni dell’Amministrazione rispetto alla firma del protocollo di contrasto al COVID, con una pregiudiziale chiara ed univoca: la richiesta di garanzie e dell’impegno in termini temporali di attivare tutte le misure per la salvaguardia reale della salute dei colleghi e per attivare un sistema di gestione della salute e sicurezza integrato con misure per l’ambiente, certificato in qualità e a norma degli standard oggi vigenti. Non firmammo perché ritenemmo che alcuni punti dell’accordo fornissero scappatoie all’Amministrazione per “non fare” o per non fare bene.
Per il resto, la storia è nota, il tentativo di isolare la UIL salvo poi abbaiare alla luna con il malcelato appoggio di una Amministrazione alla quale riesce difficile comprendere il “che fare”. Infatti, dopo 90 giorni di lavoro a distanza nei quali il personale in lavoro a distanza ha collaborato a smaltire le giacenze, sono stati fatti ben pochi interventi di adeguamento degli uffici e il caos nell’apertura delle sedi assume una precisa connotazione in termini di responsabilità datoriale, trasformando, di fatto, un problema di salute e sicurezza per lavoratori ed utenti in un problema di ordine pubblico che certo non può essere imputato ai lavoratori che allo sportello mettono la faccia.
Perché molte sedi non hanno avuto gli adeguamenti necessari? Perché i separatori di plexiglass sono diventati un’arma contro i dipendenti? Perché non ci sono ancora tutti i DPI per riaprire? E le sanificazioni?
I deficit di messa a norma delle strutture erano e sono ampiamente noti e, spesso, i datori di lavoro territoriali sono stati lasciati soli nella gestione delle problematiche e molte sedi non hanno avuto i necessari interventi straordinari di messa in sicurezza. Analogamente, i segnali di allarme lanciati dagli RLS sono stati, per lo più, inascoltati per una sorta di repulsione dell’Amministrazione a riconoscerne il ruolo.
E, purtroppo, ora non c’è più soltanto il problema del Covid-19 che, peraltro, sta tornando ad essere più aggressivo per la crescita dell’indice di contagio come evidenziato dai media in questi giorni.
Cosa dovremo attenderci ora? I carri armati a protezione delle sedi? Perché usare i dipendenti come capro espiatorio di colpe altrui?
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