La genitorialità è un diritto che trova origine nella Costituzione negli artt.31 e 37 e diffusamente nella legge i cui capisaldi sono nei D.Lgs. 151/2001 e D.Lgs. 80/2015 che tutelano la maternità, i genitori ed i figli dal concepimento ai primi anni di vita mirando alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei genitori. Da ultimo, la Legge di Bilancio 2021 (L.178/2020) ha previsto il sostegno delle madri che rientrano al lavoro dopo il parto, le associazioni di sostegno psicologico per genitori che perdono i figli, il congedo obbligatorio di paternità incrementato a 10 gg, l’assegno alle madri che si trovano da sole ad assistere figli disabili oltre il 60%.
La disabilità, al pari della maternità, è tutelata dalla legge e non è cosa nuova posto che la Costituzione, all’art.2, all’art.3 ed all’art.32 dispone che i diritti dell’uomo sono inviolabili, tutti sono uguali a prescindere dalle condizioni di salute individuale che è un diritto individuale ed interesse della collettività. La L.104/1992 e la L.68/1999 sono solo alcune delle norme che, nel rispetto della Costituzione, si muovono nell’ambito dell’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro.
Nonostante l’immenso dettato normativo, è tuttora ampiamente disattesa la norma che consente alle lavoratrici ed ai lavoratori neogenitori l’avvicinamento al nucleo familiare specie nelle amministrazioni che abbiano uffici periferici nella città di residenza del nucleo familiare. Analogo discorso riguarda spesso anche i lavoratori titolari di L.104 per disabilità propria e, ancor più spesso, per i care-giver di parenti disabili che rivestono, per il disabile, il duplice ruolo di prestatore di cure e di calore familiare.
In materia di mobilità genitoriale, infatti, l’art.42 bis del D.Lgs.141/2001 stabilisce che “il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L’eventuale dissenso deve essere motivato. L’assenso o il dissenso devono essere comunicati all’interessato entro trenta giorni dalla domanda”.
Analogamente, in materia di disabilità, I commi 5 e 6 dell'articolo 33 della Legge 104/1992 prevedono che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile hanno diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e che il genitore o il familiare lavoratore e il lavoratore disabile non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede.
Quanto accade sovente è che la motivazione per la quale non venga consentito il trasferimento o l’assegnazione temporanea alla sede richiesta non sia dettagliata ma faccia riferimento a non meglio precisati motivi organizzativi. Questo è tanto più odioso quanto più grave è la disabilità o la distanza dal nucleo familiare. In più il periodo di pandemia ha ampiamente dimostrato come sia possibile effettuare la prestazione di lavoro a distanza. Non sono poi rari nella PA esempi, ormai datati, di sperimentazioni di varie forme di “telelavoro” con esito positivo. La legge 81/2017, da ultimo, ha disciplinato il lavoro agile anche per la pubblica amministrazione.
In questo complesso quadro normativo è chiaro che il più grande passo da compiere è quello culturale che riconosca alla disabilità pari dignità nel mondo del lavoro ed alla genitorialità il valore per una società, la nostra, caratterizzata, già ben prima della spinta pandemica, da un progressivo invecchiamento e da un tasso di natalità tra i più bassi al mondo.
Sergio Cervo, Segretario Nazionale UILPA