Stampa

La riunione odierna si è aperta con una comunicazione sulla certificazione del contratto integrativo 2012 che non avremmo voluto ricevere. Il Ministero dell’Economia e il Dipartimento della Funzione Pubblica hanno fatto ciò che, da sempre, si temeva potessero fare, una decurtazione secca dell’ammontare complessivo di oltre 8 milioni di euro, sia per l’Inps che per l’Inpdap.
E’ stato, quindi, stravolto l’intero impianto dell’ipotesi contrattuale sulla quale avevamo messo non solo la nostra firma ma anche la faccia.
I ministeri competenti (sic!) hanno, infatti, “certificato” che il procedimento di calcolo con il quale aveva fatto i conti l’Amministrazione e noi con essa, sono da ritenere erronei in quanto, essendo passati ormai anni si impone da sé il fatto che le cifre siano quelle “ufficiali”, cioè quelle del bilancio consuntivo  dell’Istituto.
Di fronte a queste notizie, abbiamo espresso fortemente la nostra contrarietà e il nostro dissenso, fino al punto di ritirare la firma dall’ipotesi di accordo stesso. Non ci si può chiedere di proseguire una contrattazione fortemente punitiva nei confronti dell’intero INPS, specie in un momento di vuoto politico e di attacco alla previdenza ed all’assistenza pubblica che vediamo, anche oggi, sui maggiori quotidiani. Prima di poter di nuovo discutere sulle ipotesi di contratto per il 2013 e per il 2014 chiediamo che ci venga chiarita, con i conti alla mano, qual è la posizione che intende assumere l’amministrazione nei confronti dei ministeri vigilanti e delle parti politiche che li dirigono che, sembrano non rendersi, ancora una volta, conto della specificità dell’Inps e della sua “vicinanza” ai bisogni del cittadino penalizzato dal cattivo funzionamento della macchina pubblica. Quello che chiediamo è, però, soprattutto, cosa l’amministrazione intenda pagare con le residue cifre a sua disposizione per il 2012 e cosa prevede di “tagliare” per il 2013 e il 2014. Certamente si devono equiparare senza tentennamenti i trattamenti del personale a parità lavoro svolto, perché la riorganizzazione e i fantomatici risparmi che la Politica chiede non devono essere pagati dai lavoratori con il proprio stipendio.

                                                                                        SERGIO CERVO